lunedì 19 gennaio 2015

Stereocensioni - “Un passo indietro”, LaMente (Garage Records, 2014)

Stereocensioni, Stereobus, illimitarte, Mauro Boccuni
E’ sorprendente riuscire a sorprendersi ancora in Italia.

E soprattutto sotto il profilo musicale. 

Viviamo anni inquinati di pregiudizi e disaffezione al semplice piacere di un ascolto come quello dei LaMente con il loro cd di esordio  “Un passo indietro

Il gioco di parole che ho usato all’inizio è voluto.
Raccoglie lo spirito che la coscienza compie quando dinanzi al panorama artistico di un’offerta paludosa per eccesso di prevedibilità, scatta l’allarme per un segnale di buona fede.

Buona fede in sè stessi, caparbietà e autenticità.

Questi sono i tre concetti che possono definire i principi morali che muovono questa operazione.

Passando a spendere le prime duecento parole per un lavoro che non fatico a riconoscere come la più matura e colta produzione “orchestrale” che io abbia da una band negli ultimi dieci anni,    ci sono due cose da sottolineare subito.

“Un passo indietro”, LaMente 
La prima è che “Un passo indietro” dei LaMente è un album estremamente curato a livello di produzione di sala.

La seconda cosa da rimarcare è che con l'area degli indipendenti condivide solo la forza dell'autonomia artistica. E' un album di musicisti capaci e maturi, e scriverlo spero che non provochi scandalo o reazioni di disgusto tra i fanatici dell'indie sound che con questo disco non ha proprio nulla a che spartire!

Un passo indietro” dei LaMente è un album che può essere apprezzato da chi ha amato gli Steely Dan (quelli di Gaucho) e il Fagen di Nightfly, il Battisti del periodo Panella, certa produzione dei Bluevertigo e di Morgan poi, la meticolosità della scrittura di Mario Venuti (non il suo stile) e anche di quella di Mango.


Per chi volesse proseguire la lettura mi sono divertito a redigere una sorta di guida critica all'ascolto.


Adesso so: una canzone d'apertura dal ritmo deciso e serrato, un funky pop, caratterizzata dall'incedere sostenuto della batteria e del basso con una tastiera in controtempo e da un leitmotiv ossessivo quasi un recitativo modale, un epitaffio a cui è affidato il ritratto di una generazione alienata e divisa tra realtà e fuga dalla quotidianità.
Avverto echi di Ivano Fossati che ne La bottega di filosofia sembrava pensare ad alta voce con altrettanta voglia di farsi udire nel silenzio rumoroso di "tanta scienza che nulla insegna".
Due segnali immediati del ruolo chiave dell'uso non decorativo ma architetturale delle tastiere, delle voci e delle chitarre che vengono trattati per creare dei piani sonori, dei set di un immaginario sonoro onirico, di una realtà alterata sulla quale le voci aumentano in numero e volume.


Difendimi: Primo piano sonoro (Il tiepido calore di un ricordo confuso di un naufrago metropolitano) Un loop elettronico in 2/4 su percussioni aperte in stereofonia, la voce di un disperso che recita il suo mantra. Cambio di piano sonoro per il refrain (un taglio di lama fredda incessante e irriducibile in stile shoe gaze) fanno ingresso la ritmica, chitarre con le voci distanti mentre un volo di tastiere lega questa sezione al terzo piano sonoro (La vita, la consuetudine, lo stato dell'allerta) che prosegue con il secondo verso rigenerandosi nel secondo refrain torreggiato dalle tastiere coraggioso primo piano.
Interludio strumentale e ripresa del refrain con una chiusura finale che piacerà molto agli appassionati di tanto prog italiano (Orme, New Trolls) e/o di band come i Beach Boys nella loro stagione di ricerca (Pet Sounds e Smile). La cosa che devo indagare è perchè sento un retrogusto di Pet Shop Boys che di fatto nessuno riconoscerebbe in questo lavoro. O sì?


Recordis: una ballata in stile klezmer caratterizzata da una chitarra morriconiana e un refrain orecchiabile e minaccioso. Un risultato molto radiofonico


Il Vento: una ballata semi acustica con un basso ostinato in ottavi, un tappeto di tastiere a simulare uno spostamento di correnti d'aria che si vorrebbero seguire, quasi maestre di un'esperienza che quanto caduca e sempre meno incerta dei danni di una Storia che progetta incertezza


Agosto: Il mood della precedente canzone si riaffaccia con una infiltrazione di plettri a scandire un tempo musicale pianistico dallo stile minimalista chopiniano che a tratti rammenta certe sonorità dei Baustelle, sia per carattere sonoro che per il racconto cinico di uno scontro generazionale senza pari.


Chiedi se: una composizione che riecheggia un'ispirazione della prima collaborazione tra Panella e Battisti, nella natura del testo sfuggente e rarefatto, della struttura della composizione basata su un minimalismo di intervalli melodici tutti sul registro alto della tonalità, pochi cambi armonici ma caratterizzanti e una licenza poetica che poi è un segno distintivo  delle tensioni di ricerca lirica diffuse anche in altre canzoni. In questa canzone si concentra sullo spostamento di accento sulla seconda sillaba di vivere "Aaaahhh, vivère!". Questo stesso gusto si ritrova nel refrain/epitaffio di "Adesso so" che sembra riflettere suoni e quindi significati diversi e allo stesso confluenti nel testo cantato. "Continuano a sperare" che lascia intendere un "Continuiamo a sperare"


Nei panni tuoi
Una pressante ballata rock diretta come finora non ne avevano incontrate. Il cd va chiudendosi ma senza cali di tono. Preziosi intrecci tra chitarre e riff finali
Un viaggio
Una ballata, la più pop dell’intero lavoro cantato con la voce femminile di Giulia Salis.
Rosso
La terza ballata di un epilogo trionfale con tanto di coda orchestrale e coro ad libitum su un invito all’abbandono al rumore faticoso che fa la vita quando c’è e non ci pensi.

Mauro Boccuni

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